A spiare le vite degli altri erano 110mila Dossier ridimensiona lo spettro Stasi

Parola di Ilko-Sascha Kowalczuk, ricercatore presso l’autorità tedesca che gestisce gli archivi della Stasi. Kowalczuk ha dedicato al tema uno studio di oltre 400 pagine che viene citato dal sito dello Spiegel e mette in dubbio molte delle convinzioni sull’elefantiaco sistema di spionaggio e controllo nella DDR.

A partire dal reale numero dei collaboratori non ufficiali, gli IM (Inoffizieller Mitarbeiter), persone che fornivano in segreto informazioni agli uomini di Mielke, senza però lavorare ufficialmente per la Stasi. Kowalczuk ritiene esagerata la cifra di 189.000 IM nel 1989 indicata nelle statistiche dell’autorità per la quale lui stesso lavora. Nel 1988 gli IM erano molti di meno: 110.000. Come si spiega l’eccezionale aumento nel giro di 12 mesi? Anzitutto con degli errori di calcolo, è convinto l’esperto: i conteggi effettuati dopo la riunificazione non tengono conto del fatto che molti collaboratori non ufficiali erano catalogati contemporaneamente sotto varie categorie, il che significa che sono stati di fatto calcolati due volte. Oltre 13.000 IM del dipartimento per lo spionaggio estero, poi, sono finiti nelle statistiche in modo alquanto insolito: dopo il 1990 sono stati semplicemente presi i dati relativi ad appena due sezioni locali della Stasi e, a partire da quelli, è stata calcolata una stima approssimativa per l’intero dipartimento per l’estero. Alla somma ufficiale andrebbero poi sottratti altri 10.000 IM: Mielke si era lamentato del fatto che molti non spifferavano nulla ai suoi ufficiali, motivo per cui nel 1987 quasi 10.000 IM vennero di fatto archiviati. Risultato: al posto dei 189.000 IM indicati fino ad oggi «è realistico un altro numero: 109.000 collaboratori non ufficiali, un dato che proviene da un elenco che Mielke si fece preparare nella primavera del 1989», ha detto Kowalczuk a Superillu, un settimanale molto diffuso nei Länder orientali tedeschi.

Non solo, ma il ricercatore, che precisa di non voler relativizzare i crimini della Stasi e, come scrive lo Spiegel, non è sospetto di voler edulcorare la realtà nella Ddr, critica anche un altro aspetto: la Stasi è stata «demonizzata», è stata creata un’immagine che «non ha nulla in comune con la realtà», mentre non è stata dedicata la stessa attenzione agli iscritti alla SED, cioè il partito comunista. L’apparato di Mielke, spiega Kowalczuk a Superillu, era subordinato sotto ogni punto di vista alla SED: «ogni segretario locale della SED aveva più potere e influenza di un direttore di una sezione locale della Stasi».

Quella dell’IM è diventata«un’etichetta», come se le persone «non avessero fatto altro che essere IM»: esse sono state ridotte al male assoluto. Gli IM in realtà «non erano tutti uguali, non tutti erano dei traditori», ha aggiunto a Superillu.

Non solo, ma in Germania regna un’«immagine distorta» degli ufficiali della Stasi, cioè di coloro che lavoravano ufficialmente per l’apparato di Mielke: le loro responsabilità sono indiscusse, ma anche loro venivano spiati. Di più: nessun altro gruppo di persone è stato sorvegliato in modo «così intenso e sistematico» come gli ufficiali della Stasi, nota Kowalczuk. Tesi che si presta ad accese discussioni in un Paese in cui la Stasi resta un tema di scontro: proprio nelle scorse settimane il capogruppo della Linke al Bundestag, Gregor Gysi, avvocato di alcuni noti dissidenti ai tempi della DDR, è stato accusato di aver avuto contatti con la Stasi. Ora la procura di Amburgo indaga su di lui. Il sospetto è che Gysi abbia fornito una dichiarazione giurata falsa nel 2011, quando aveva negato di aver mai riportato informazioni alla Stasi.

Fonte La Stampa