Forensics capability e Terrorismo Nucleare

Forensics

La forensic science (tecniche di investigazione scientifica) puo’ aiutare le forze dell’ordine e le agenzie di intelligence nel rilevamento tempestivo di un attacco nucleare (anche nelle fasi della sua preparazione), identificandone gli autori, in modo tale che gli attacchi possano essere prevenuti.

La minaccia nucleare e radiologica espone decine di migliaia di persone a grandi quantità di radiazioni in pochissimi minuti generando una paura collettiva difficile da mitigare: non da ultimo, l’economia dello stato colpito riceve un tremendo arresto.

Come ogni attività umana, la preparazione di un attacco nucleare o radiologico lascia diversi tipi di tracce che le piu’ sofisticate tecniche di investigazione scientifica (alcuni esempi di seguito) possono aiutare a rivelare:

  • la nuclear forensics contribuisce a identificare e caratterizzare i materiali nucleari e radiologici, fornendo informazioni sulla loro origine
  • la digital forensics e’ in grado di fornire informazioni sulla posizione e le attività dei terroristi, per esempio studiando i dati telefonici o di internet
  • la chemical forensics può aiutare a ricostruire la sequenza degli eventi, analizzando la natura e l’origine delle tracce chimiche che sono state lasciate durante la preparazione di un attacco
  • la DNA forensics e altri metodi biometrici possono aiutare a identificare le persone che sono coinvolte nella preparazione dell’attacco

L’uso di tali tecniche rivelano quindi importanti informazioni (sulla natura e l’origine del materiale nucleare o radiologico), sulle attività preparatorie, sui luoghi di residenza e identità dei sospettati, trasformandosi in un strumento essenziale ed efficace per l’individuazione e la prevenzione degli incidenti (nucleari e radiologici).

Nessuno stato puo’ fare da solo: lo scambio (condivisione) delle conoscenze all’interno della comunita’ internazionale e’ fondamentale e lo sviluppo della ricerca in campo criminologico (in materia di sicurezza nucleare) e’ portato avanti in stretta collaborazione con Interpol e Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA).

L’Unione Europea e’ orgogliosa di annoverare tra i suoi stati membri un modello di eccellenza nel settore dell’indagine scientifica: ci riferiamo all’avanzatissimo Istituto di Investigazione Scientifica Olandese (Netherlands Forensics Institute) che unifica le tecniche menzionate, e che ha sviluppato una piattaforma digitale di conoscenze su cui gli esperti possono scambiare conoscenze ed esperienze (lanciata proprio al vertice di Seoul).

Il NFI organizzera’ il giugno prossimo una riunione internazionale del gruppo tecnico di lavoro della piattaforma per promuovere la cooperazione internazionale nel campo appunto della nuclear forensics.

L’Italia si presenta invece frammentata e le investigazioni scientifiche, in particolar modo per quel che riguarda la digital forensics, sono portate avanti da diversi “pool” di esperti:

  • Raggruppamento Carabinieri Investigazioni Scientifiche – Reparto Tecnologie Informatiche (RACIS – RTI – Arma dei Carabinieri – Ministero della Difesa)
  • GAT – Nucleo speciale frodi telematiche (Guardia di Finanza – Ministero dell’Economia)
  • Servizio Polizia postale e comunicazioni (Ministero dell’Interno)
  • AISI e AISE (Presidenza del Consiglio)
  • Magistratura (Ministero della Giustizia)
  • grandi aziende (ENI, ENEL, Poste, Telecom etc.)
  • Liberi professionisti

Le tecniche di investigazione scientifica stanno conoscendo un’ espansione senza precedenti per via dell’infrastruttura digitale (che supporta ormai tutte le attivita’ umane) ed occorre che il legislatore italiano elimini ridondanze, inefficienze, sprechi e aumento dei costi, adattando ed adeguando le strutture ed i “nuclei” di investigazione scientifica nazionali alle funzioni che sono chiamati a svolgere per la sicurezza nazionale ed internazionale.

Fonte TTSecurity

Blitz israeliano Siria e Iran “Risponderemo”

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Documenti di intelligence occidentali, consultati da «La Stampa», attestano che Al-Din ha offerto «lussuosi alloggi a Beirut e stipendi equivalenti al grado militare attuale» agli ufficiali alawiti puntando a farne arrivare il numero più alto – e in tempi stretti – in Libano per migliorare le capacità militari di Hezbollah. Tali ufficiali alawiti avranno il compito di addestrare Hezbollah all’uso di nuove armi: convenzionali come i missili anti-aerei e anche non convenzionali, come i gas, se riusciranno a essere spostate. 

Il passaggio di armi e ufficiali dalla Siria al Libano avviene grazie alla presenza di contingenti Hezbollah nelle aree di combattimento a Damasco, Aleppo, Al-Zabadani, Homs e Al Qusair, d’intesa con le Guardie della rivoluzione iraniana. La decisione presa da Hezbollah e Teheran di prelevare dalla Siria armamenti e specialisti militari svela la convinzione che i giorni del regime di Assad siano contati. I satelliti militari occidentali che sorvegliano la Siria hanno consentito di riscontrare tale processo e il governo di Israele ha deciso, la scorsa settimana, un blitz aereo a Jimraya – sulla strada fra Damasco e il confine libanese – per impedire a Hezbollah di impossessarsi di batterie di Sa-17 di produzione russa.  

Si tratta di missili terra-aria in grado di minacciare gli aerei israeliani: ogni batteria può ingaggiare 24 obiettivi simultaneamente. Assad li acquistò da Mosca nel 2007 a seguito del blitz con cui Gerusalemme distrusse il suo reattore nucleare segreto. Se i Sa-17 fossero giunti in Libano avrebbero alterato l’equilibrio di forze, impedendo a Israele di pattugliare i cieli delle aree dove operano gli Hezbollah. Si tratterebbe tuttavia solo di una delle operazioni intraprese da Israele, e da altri Paesi, per ostacolare il trasferimento di uomini e mezzi di Assad in Libano in una guerra segreta da cui dipende la sorte dell’arsenale siriano, il più agguerrito del mondo arabo grazie alle forniture russe.  

Da qui la brusca reazione di Damasco, arrivata dall’ambasciatore a Beirut Ali Abdul-Karim Ali, su possibili «risposte sorprendenti» all’«aggressione contro la nostra terra». Hezbollah ha espresso «solidarietà ai fratelli siriani» e Teheran, con un portavoce del Leader Supremo Ali Khamenei, ha aggiunto: «Un attacco alla Siria è un attacco contro di noi». 

Sul fronte diplomatico è la Russia di Vladimir Putin a guidare la condanna di Israele parlando, con un comunicato del ministero degli Esteri, di «attacco non provocato contro uno Stato sovrano in violazione lampante della Carta Onu«. Sull’intera vicenda continua il silenzio di Washington, preavvertita da Gerusalemme del blitz a Jimraya, come era già avvenuto nel 2007.

Fonte La Stampa

Siria, “un fedelissimo di Assad collabora con gli americani”

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la grande parte della località alauita, la minoranza religiosa a cui appartiene anche il presidente siriano Bashar al-Assad, nel centro della Siria. I jihadisti hanno recentemente moltiplicato gli attacchi in questa regione, dove coesistono numerose comunità, ma finora non avevano registrato particolari successi. Oggi, sempre secondo il Sohr, un altro battaglione islamista ha minacciato di attaccare due villaggi cristiani a una ventina di chilometri da Maan, se i loro residenti non cacceranno l’esercito e i miliziani pro-regime.  

Grande preoccupazione in Israele, dove tutti gli occhi sono puntati su Damasco: «Se il presidente siriano Bashar al Assad farà ricorso alle armi chimiche segnerà il proprio destino firmando la sua condanna a morte», ha detto oggi alla radio militare l’ex capo dell’intelligence militare, il generale Amos Yadlin. Il ricorso alle armi chimiche, a suo avviso, rappresenta «una linea rossa» che né la Russia né gli Stati Uniti potrebbero ignorare. Dunque è «molto improbabile» che Assad ricorra a quella carta. Per Israele, secondo Yadlin, il crollo definitivo del regime di Assad sarebbe una buona notizia, perché contribuirebbe a scardinare «l’asse Iran-Siria-Hezbollah». 

Fonte La Stampa

Putin a tutto campo: “I problemi tra Usa e Russia sono iniziati con l’Iraq”

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Sulla scottante situazione in Siria il presidente Vladimir Putin ha negato che Mosca stia offrendo un sostegno incondizionato al regime siriano e ha ribadito la necessità di trovare una «soluzione che eviti il collasso della regione». Lo scenario che inquieta Mosca, ha spiegato, è quello di una guerra civile che continui ad oltranza, a ruoli invertiti: «semplicemente non vogliamo che quelli che sono oggi all’opposizione, arrivati al potere, comincino una lotta con le attuali autorità, che saranno intanto passate all’opposizione, e che questo poi continui in eterno», ha detto. Inoltre, ha aggiunto il capo del Cremlino, «naturalmente siamo interessati alla posizione russa nella regione».  

Putin ha poi definito «ragionevole» la proposta del Parlamento di abolire il divieto sulle adozioni di bambini russi da parte di cittadini statunitensi. «E’ una risposta emotiva ma proporzionale», ha detto il presidente, all’iniziativa della «lista Magnitsky», ovvero le misure restrittive, come il bando ai visti e il congelamento dei beni, per i funzionari coinvolti nella morte in carcere, nel 2009, dell’avvocato societario Sergei Magnitsky, un atto «oltraggioso non provocato in alcun modo dalla Russia», ha aggiunto. La reazione della Duma, ha tuttavia precisato il presidente russo non è solo una risposta alla legge Magnitsky, ma anche alle mancate azioni da parte delle autorità americane per perseguire i crimini commessi contro i minori russi (ce ne sono diversi, l’ultimo è quello di Artiom, il bimbo rispedito da solo in aereo in Russia dalla madre adottiva americana che lo giudicava troppo difficile). Il capo del Cremlino ha comunque definito «inefficace» l’accordo bilaterale sulle adozioni e affermato che è necessario adottare in Russia «i nostri orfani». Ma Russia e Stati Uniti «non sono nemici», ha precisato, «è solo necessario avere pazienza e cercare compromessi», lasciando intendere che questo non è che il primo capitolo di una storia ancora tutta da scrivere. I problemi tra la Russia e gli Usa «sono iniziati con la guerra in Iraq», ha detto Putin in occasione di una domanda sulla direzione presa dalla nota politica del “reset”. «Perché reset? Noi non abbiamo nulla da resettare», ha detto ricordando che “reset” non è una parola russa.  

In tema economico, Putin ha voluto sottolineare che la situazione del Paese è positiva, visto che la Russia mantiene una crescita sostenuta (+3,7% tra gennaio e ottobre) pur in un contesto internazionale difficile. Buono anche il dato sul calo della disoccupazione al 5,4% a novembre dal 6,6% di inizio anno. «Questo – ha dichiarato – è merito del lavoro del Governo».  

«Non è stato creato un sistema politico autoritario. Se uno ritiene che la democrazia e il rispetto delle leggi siano cose diverse, si sbaglia profondamente perché democrazia non è anarchia», ha detto infine Putin, ricordando che nel 2008 rispettò la costituzione che prevede un limite di due mandati presidenziali consecutivi. Per quattro anni «non sono stato capo di stato» eppure «nulla e’ cambiato» nel caso dell’ex magnate Mikhail Khodorkovsky, in carcere dal 2003 dopo essere entrato il rotta di collisione con Vladimir Putin. «Credetemi, io non ho in alcun modo influito sul tribunale», sottolineando poi che se la giustizia doveva prendere un corso diverso, l’avrebbe preso durante i 4 anni di presidenza Medvedev appena conclusi. «E invece non è stato così».  

Infine, il presidente russo, si è lasciato andare a qualche battuta. A partire dalla vicenda dell’attore francese Gerard Depardieu, che ha detto di voler rinunciare al passaporto francese in polemica con il suo Paese per l’eccessivo carico fiscale. Depardieu nei giorni scorsi avrebbe dichiarato che Putin gli aveva già inviato un passaporto russo. «Se Gerard vuole veramente un permesso di soggiorno o un passaporto russo – ha scherzato il presidente in conferenza stampa – il problema è già risolto e in maniera positiva», sottolineando comunque che senza dubbio le autorità francesi non avevano intenzione di offendere Depardieu, «con cui abbiamo relazioni amichevoli, ma so che si sente francese». Ha continuato affrontando il tema delle figlie: «Sono orgoglioso di loro, studiano e lavorano a Mosca». Rispondendo alla domanda di un giornalista russo che gli chiedeva se non fosse già diventato nonno, Putin ha risposto: «Le serve davvero saperlo?». In passato c’erano state voci sul matrimonio in Corea del Sud di una delle due figlie del presidente.

Fonte La Stampa

Russia-Usa: Putin, scudo antimissile minaccia per Mosca

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Secondo il capo del Cremlino, i “problemi nelle relazioni bilaterali tra Mosca e Washington sono iniziati con la guerra in Iraq”. Il presidente russo ha criticato la parola ‘reset’ che ha caratterizzato i rapporti tra il suo predecessore Dmitri Medvedev e la prima amministrazione di Barack Obama, che, ha tenuto a precisare, “non e’ una parola scelta dalla parte russa”. “Con gli Usa non siamo nemici, ma bisogna trovare un compromesso”, ha spiegato.

Fonte AGI

L’Iran contro la Nato: vogliono una guerra mondiale

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Piano di Tehran sulla Siria. L’Iran ha annunciato la stesura di un piano in sei punti per risolvere pacificamente la crisi siriana creando una base favorevole alla transizione. Lo sostiene l’agenzia semi-ufficiale iraniana Mehr precisando che il primo punto del piano prevede l’ immediata cessazione delle ostilità sotto la supervisione di forze Onu.
Il secondo punto riguarda la fornitura di aiuto umanitario: a questo proposito sarebbe importante una revoca delle sanzioni economiche imposte alla Siria. Il terzo punto del piano prevede la creazione di un comitato di riconciliazione nazionale.

Fonte Globalist

Scacco matto alla Siria

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Operazione Doha. Su pressione di Stati Uniti e Qatar e con la partecipazione attiva di Francia, Germania, Italia, Turchia e Gran Bretagna, dal 4 all’11 novembre sono stati riuniti a Doha oltre 400 delegati della dissidenza siriana. Fritto politicamente e militarmente misto, da maneggiare con le molle, ma indispensabile per formare un soggetto politico siriano credibile e formalmente unitario. Un Parlamento alternativo a quello di Damasco e un Governo transitorio copiato dal “modello libico”. Compito, gestire le “aree liberate”, le attività dell’«Esercito Libero Siriano», soldi e armi.

Democrazia a lotti. Gli equilibri interni sono fondamentali per garantire chi paga. Come Presidente del “Consiglio Nazionale Siriano” (Cns) viene eletto George Sabra (in sostituzione di Abdel Baset Sieda) affiancato da un vice, l’esponente dei Fratelli Musulmani Faruk Tayfur, e 40 membri anche essi di nuova nomina. L’inaspettata scelta di Sabra, cristiano ed ex comunista, è una mossa abile. Sottrarre al Presidente Bashar Assad l’egemonia sulla comunità cristiana, preoccupata dall’ascesa in tutta la regione dei Fratelli Musulmani. Qualche resistenza Usa su quel passato comunista, ma si sa.

L’ombrello plurale. La “Coalizione Nazionale delle Forze di Opposizione” (Ncof) è l’ombrello sotto il quale hanno deciso di ripararsi tutti i rappresentanti delle diverse formazioni. Con l’accordo firmato anche dal Cns (cui andranno 22 dei 60 seggi della Coalizione), di non accettare alcun dialogo e negoziato con il regime damasceno. Nasce un “Consiglio Militare” e una “Commissione Giuridica Nazionale” e, il 19 novembre in Marocco, il gruppo “Gli amici della Siria” per ottenerne i riconoscimento di “legittimo rappresentante del popolo siriano” e i supporti economici e militari.

La Nato chioccia. Presidente è Sheikh Ahmed Moaz al Khatib, siriano, contiguo ai Fratelli Musulmani, all’estero da 3 anni. Due vice: Riad Seif, esponente di spicco dell’opposizione siriana, critico del Cns che valuta scarsamente incisivo, ma favorito dagli USA; Suhair al Atassi, unica donna fra gli eletti. La nuova coalizione è stata subito riconosciuta dal “Consiglio di Cooperazione del Golfo” (Ccg) di Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar. Il segretario generale della Nato Rasmussen, ha applaudito: “Oltre la situazione di stallo della crisi”.

Enfasi umanitaria. Movimento a tenaglia. Contestualmente all’elezione del nuovo Presidente del Cns, il Capo dell’ “Ufficio di Coordinamento degli Affari Umanitari” (Ocha) dell’Onu a Ginevra , John Ging, ha denunciato l’aggravamento dell’emergenza umanitaria in Siria. Una crisi che il prossimo anno investirà oltre 4 milioni di persone. Mentre in centinaia di migliaia continueranno a fuggire dalla Siria in guerra verso i Paesi confinanti. Nel giorno stesso della denuncia Onu sono stati registrati oltre 11 mila profughi siriani che avevano attraversato il confine con la Turchia.

Mezzaluna sciita. Il quotidiano libanese “Daily Star” lancia un’intervista ad esponenti del neo-nato “Esercito Libero dell’Iraq” (Eli), che si ispira all’Els e intende combattere i regimi sciiti sostenuti dall’Iran. La milizia raggrupperebbe anche militanti di Al Qaeda presenti nelle zone sunnite di Anbar, Qaim e Mosul ed elementi di “Sahwa”, formazione di sunniti che, vicende locali li fanno nemici giurati del premier iracheno Nuri al Maliki, contro il quale combattono affinché insieme alla Siria cada anche l’Iraq e si indebolisca l’Iran che li sostiene. Clienti difficili da gestire e intenti dubbi.

Poi la questine curda. Durante il vertice di Doha vi è stata una intensificazione delle attività curde nel nord-est delle Siria dove militanti del “Partito dell’Unione Democratica” (Pyd), vicini al “Partito dei Lavoratori Curdi” (Pkk), hanno assunto il controllo di al Dirbasiyyah, Tel Nemer, Amuda e Malikieh, abbandonate dai lealisti. I curdi, ritenuti dall’Els vicini al regime damasceno e ostili alla Turchia, mantengono in realtà le distanze dall’uno e dagli altri nel tentativo di ritagliarsi con la forza delle armi anche in Siria quell’autonomia conquistata nel nord dell’Iraq dove esiste uno Stato curdo.

La somma dei fatti. Tali eventi, casuali o no, forniscono dati incontrovertibili. 1) Crescente destabilizzazione del Paese, non più in grado di provvedere alla sicurezza dei suoi cittadini e, in particolare, di quanti ne siano (o ne siano stati) sostenitori (alawiti e cristiani), costretti a fuggire e bersagliati dagli insorgenti, con conseguente delegittimazione davanti alla Comunità Internazionale. 2) Incapacità del controllo territoriale anche nelle città più importanti, Damasco e Aleppo, oggetto di continui attentati. 3) Aperta minaccia da parte di Israele e indebolimento della “mezzaluna sciita”.

Risultati prossimi. Dopo avere di fatto azzerato il tentativo dell’inviato speciale di Onu e Lega Araba, Lakhdar Brahim, resta ben poco spazio alla speranza del Presidente Assad di reggere sino alla Presidenziali del 2013. Il nuovo organismo dell’opposizione, pur diviso come è al suo interno tra salafiti, jihadisti nazionalisti, qaedisti internazionali e mercenari, non avrà l’intervento Nato ma otterrà la legittimazione della maggioranza Comunità Internazionale. E con essa il supporto per sconfiggere l’esercito siriano minato dalle diserzioni anche ad alto livello che continuano a crescere.

Fonte Globalist

Intelligence: regime si prepara a usare armi chimiche

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SCUD CONTRO I RIBELLI. Altre fonti citate dal New York Times riferiscono che il regime di Assad “sta utilizzando da lunedì scorso gli Scud contro basi militari nel nord del Paese cadute nelle mani di ribelli”. I missili, che Damasco nega di aver usato, “vengono lanciati dalla base di An Nasiriyah, a nord della capitale, in particolare contro la base di Shaykh Sleiman” nel nord.

PANETTA IN TURCHIA. Visita a sorpresa in Turchia del ministro della Difesa americano, Leon Panetta, arrivato senza preavviso nella base aerea di Incirlik, situata nella provincia di Adana dell’Anatolia sud-orientale, un’ottantina di chilometri a ovest del confine con la Siria. Il capo del Pentagono, dopo il via libera della Nato, ha firmato gli ordini che autorizzano ufficialmente l’invio di due batterie di missili anti-missile ‘Patriot’ e di circa quattrocento militari statunitensi alla Turchia, affinché quest’ultima possa difendersi da eventuali attacchi provenienti dalla Siria, dispiegandoli lungo i 900 chilometri di frontiera comune. In totale saranno sei le batterie di ‘Patriot’ messe a disposizione delle autorità di Ankara, tutte sot to comando Nato: due dagli Usa, due dalla Germania e due dai Paesi Bassi. Saranno operative dalla fine di gennaio.

Fonte TG1.Rai

Basi militari israeliane in Eritrea per spiare l’Iran. Il doppio gioco di Asmara in cambio di risorse

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Il rapporto sottolinea che «La presenza di Israele in Eritrea è molto mirata e precisa, comportando la raccolta di informazioni nel mar rosso e la sorveglianza delle attività iraniane». Secondo Stratfor, la piccola ex colonia italiana nell’Africa orientale sarebbe diventata «Un’arena delle operazioni per Israele e l’Iran» che vogliono entrambi rafforzare la loro presenza nel Corno d’Africa a caccia di risorse e di egemonia geopolitica. Ma L’Eritrea, dice il rapporto, «Vuole l’amicizia di Israele per numerose ragioni di sicurezza e politiche», dato gli stretti legami di Gerusalemme con Washington e il suo desiderio di stringere potenziali accordi di difesa con Israele: «Asmara vuole acquisire migliori capacità di difesa aerea per difendersi da un possibile attacco dell’Etiopia. Inoltre, la collaborazione con Israele è un modo per Asmara per bilanciare il suo controverso rapporto con Teheran».

Infatti la spietata dittatura eritrea non ospita solo le spie, le navi da guerra ed i militari israeliani, ma anche operazioni militari iraniane «Legate all’obiettivo più ampio di Teheran che è quello di controllare lo stretto di Bab el-Mandab e la rotta navigabile che porta al Canale di Suez». Stratfor sottolinea che  «Nel 2008 Teheran ha raggiunto un accordo con Asmara per mantenere una presenza militare ad  Assab, ufficialmente per proteggere la raffineria di petrolio di proprietà statale ristrutturata di epoca sovietica. In cambio, Asmara ha ricevuto denaro e altri aiuti militari da Teheran attraverso canali ufficiali e non ufficiali. Nel 2009, lo stesso anno in cui l’Eritrea ha apertamente sostenuto il programma nucleare iraniano, la Banca di sviluppo dell’Iran ha trasferito 35 milioni di dollari per sostenere l’economia eritrea».

Stratfor Global Intelligence spiega così il doppio gioco di Asmara che ha legami con due Paesi nemici: «In cambio di risorse, che possono comprendere modeste quantità di denaro ed armi, l’Eritrea ha mostrato di voler diventare una base di sostegno per le potenze del Medio Oriente. Come risultato, l’Eritrea e le sue acque nel Golfo di Aden sono diventati un altro luogo per la rivalità tra Iran e Israele. L’impegno di Israele e l’Iran con l’Eritrea è un’estensione della loro rivalità sul Mar Rosso, che avrebbe portato al bombardamento della di armi di Yarmouk in Sudan», avvenuto il 23 ottobre a Khartoum. Ma il rapporto avverte che «Israele è meno interessato dell’Iran ad espandere la propria presenza in Eritrea. E’ improbabile che Gerusalemme comprometta le sue relazioni con Addis Abeba od altre nazioni della regione, dato che il suo principale interesse in Africa orientale è frenare contrabbando di armi dal Sudan». Quando negli ultimi anni  Israele ha ampliato la sua cooperazione militare con il Sud Sudan e il Kenya, l’Eritrea ha risposto rafforzando i suoi legami con l’Iran.

Le operazioni israeliane in Eritrea si baserebbero soprattutto sula sorveglianza del traffico d’armi dell’Iran verso la Striscia di Gaza ed il Libano destinate ad Hamas ed alla Jihad palestinese e alle milizie libanesi di Hezbollah. Nonostante la recente riapertura del Canale di Suez alle navi militari iraniane, quella rotta sembra ancora troppo vistosa e navi cariche di razzi e munizioni attraverserebbero il  Mar Rosso per raggiungere il Sudan e l’Egitto, da dove le armi sarebbero trasferite via terra o su altre navi insospettabili per raggiungere la Siria ed il libano.

Il rapporto conclude che «La decisione dell’Eritrea di ospitare Israele e l’Iran non è una scelta ideologica. E’ il modo per una nazione piccola e insicura per soddisfare le sue esigenze economiche e di sicurezza».

L’Eritrea non sarebbe la sola base operativa per le operazioni militari israeliane all’estero: secondo il Sunday Times gli israeliani manterrebbero una presenza militare anche nel Caucaso, nell’ex repubblica sovietica dell’Azerbaigian che confina con l’Iran.

Fonte Greenreport

Corea del Nord prepara lancio razzo a lunga gittata. Mosca: fermatevi

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Il periodo di lancio e la messa in orbita del satellite «per l’osservazione terrestre» è programmato tra il 10 e il 22 dicembre, in concomitanza con le elezioni presidenziali a Seul e con il primo anniversario della scomparsa del leader nordcoreano Kim Jong. Secondo quanto riferito al Giappone inoltre, la fascia oraria è compresa tra le ore 7 del mattino e mezzogiorno locali (rispettivamente, le 23 del giorno precedente e le 4 in Italia).

«L’assemblaggio del razzo significa che la Corea del Nord ha iniziato i preparativi del lancio di un missile a lunga gittata», ha detto una fonte del governo sudcoreano, ribadendo i timori sulle reali intenzioni di Pyongyang, che altro non sarebbero che un test di missile a lungo raggio potenzialmente capace di raggiungere anche le coste nordamericane con tanto di testata nucleare.

La Russia chiede alla Corea del Nord di non effettuare l’annunciato lancio del razzo. Lo si legge in un comunicato del ministero degli Esteri di Mosca. «Facciamo appello al governo perché riconsideri la sua decisione di lanciare il razzo», recita il comunicato.

Fonte Il Messaggero