Documenti di intelligence occidentali, consultati da «La Stampa», attestano che Al-Din ha offerto «lussuosi alloggi a Beirut e stipendi equivalenti al grado militare attuale» agli ufficiali alawiti puntando a farne arrivare il numero più alto – e in tempi stretti – in Libano per migliorare le capacità militari di Hezbollah. Tali ufficiali alawiti avranno il compito di addestrare Hezbollah all’uso di nuove armi: convenzionali come i missili anti-aerei e anche non convenzionali, come i gas, se riusciranno a essere spostate.
Il passaggio di armi e ufficiali dalla Siria al Libano avviene grazie alla presenza di contingenti Hezbollah nelle aree di combattimento a Damasco, Aleppo, Al-Zabadani, Homs e Al Qusair, d’intesa con le Guardie della rivoluzione iraniana. La decisione presa da Hezbollah e Teheran di prelevare dalla Siria armamenti e specialisti militari svela la convinzione che i giorni del regime di Assad siano contati. I satelliti militari occidentali che sorvegliano la Siria hanno consentito di riscontrare tale processo e il governo di Israele ha deciso, la scorsa settimana, un blitz aereo a Jimraya – sulla strada fra Damasco e il confine libanese – per impedire a Hezbollah di impossessarsi di batterie di Sa-17 di produzione russa.
Si tratta di missili terra-aria in grado di minacciare gli aerei israeliani: ogni batteria può ingaggiare 24 obiettivi simultaneamente. Assad li acquistò da Mosca nel 2007 a seguito del blitz con cui Gerusalemme distrusse il suo reattore nucleare segreto. Se i Sa-17 fossero giunti in Libano avrebbero alterato l’equilibrio di forze, impedendo a Israele di pattugliare i cieli delle aree dove operano gli Hezbollah. Si tratterebbe tuttavia solo di una delle operazioni intraprese da Israele, e da altri Paesi, per ostacolare il trasferimento di uomini e mezzi di Assad in Libano in una guerra segreta da cui dipende la sorte dell’arsenale siriano, il più agguerrito del mondo arabo grazie alle forniture russe.
Da qui la brusca reazione di Damasco, arrivata dall’ambasciatore a Beirut Ali Abdul-Karim Ali, su possibili «risposte sorprendenti» all’«aggressione contro la nostra terra». Hezbollah ha espresso «solidarietà ai fratelli siriani» e Teheran, con un portavoce del Leader Supremo Ali Khamenei, ha aggiunto: «Un attacco alla Siria è un attacco contro di noi».
Sul fronte diplomatico è la Russia di Vladimir Putin a guidare la condanna di Israele parlando, con un comunicato del ministero degli Esteri, di «attacco non provocato contro uno Stato sovrano in violazione lampante della Carta Onu«. Sull’intera vicenda continua il silenzio di Washington, preavvertita da Gerusalemme del blitz a Jimraya, come era già avvenuto nel 2007.
Fonte La Stampa