Skype: “Nessuna intercettazione sulle chiamate”. Ma i server conservano i dati

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Il servizio era infatti basato su un sistema molto simile allo scambio di dati peer-to-peer: ogni computer veniva messo in contatto con un secondo utente in modo diretto, senza alcun server centrale a fare da intermediario. Secondo alcuni calcoli il sistema avrebbe quindi affidato ad un singolo client il ruolo di supernodo che avrebbe gestito circa 800 connessioni grazie ad una certa capacità di calcolo e ad una larghezza di banda sufficiente. Il sistema utilizzato ha però in più occasioni sottolineato la sua debolezza, causando un black-out del servizio anche per alcune ore.

In sordina Microsoft ha deciso per un cambio radicale dell’architettura della rete di Skype: la mossa è stata scoperta da un ricercatore della Immunity Security che ha spiegato come il sistema di supernodi era invece stato sostituito da una serie di server Linux dedicati. Si è passati da 48mila supernodi ad appena 10mila server ma con una capacità di gestione nettamente superiore, passando da appena 800 connessioni a più di 100mila. Il problema, al centro delle lamentele sulla privacy e delle paure di intercettazione, è che il nuovo sistema a server dedicati è ospitato all’interno dei data center dell’azienda. Questa mossa, a detta dell’accusa, sarebbe stata imposta dagli organi di polizia e dai governi per avere accesso a tutte le comunicazioni via Skype, così come avviene per le classiche intercettazioni telefoniche.

In un lungo post sul blog ufficiale dell’azienda Mark Gillet ha cercato di fare chiarezza sul funzionamento del servizio dopo le novità introdotte da Microsoft: “In questi ultimi giorni – sono le prime righe del suo intervento – abbiamo visto numerosi articoli da parte dei media che crediamo siano inesatti e possano indurre in errore la comunità di Skype nei confronti del nostro approccio sulla sicurezza degli utenti e la loro privacy. Voglio chiarire la situazione”. Tra le tesi della difesa entra innanzitutto la volontà da parte di Skype di migrare verso il cloud computing ancor prima che l’azienda entrasse a far parte del mondo Microsoft, ma in modo particolare alla base di tutto ci sarebbero motivazioni di stabilità e qualità del servizio. Inoltre i server, si legge nel comunicato, sono stati una mossa obbligata verso l’implementazione di nuove funzionalità di cloud che verranno presto rilasciate in Office e nel mondo Xbox Live. Gillet continua sottolineando che in nessun modo Skype registra o tiene sotto controllo le chiamate degli utenti, ma tutto il sistema si spinge verso l’ottimizzazione del servizio e la sua velocità. A questi aspetti si affianca per la verità una mezza ammissione di colpa: come già evidenziato dal ricercatore della Immunity Security, Kostya Kortchinsky, di fatto nuovi server tengono traccia delle comunicazioni, anche se in modo temporaneo, per consentire la sincronizzazione tra diversi dispositivi. In linea di principio, in quei determinati momenti, Skype potrebbe fornire l’accesso ai dati immagazzinati alle forze dell’ordine seppur le comunicazioni continuino a rimanere criptate. Se da una parte l’azienda sottolinea di non aver alcuna intenzione di spiare le telefonate dei suoi utenti, dall’altra ammette che qualcosa sui server viene immagazzinato e che, in linea di massima, si potrebbe accedere ai dati grazie a speciali autorizzazioni emesse da tribunali e forze dell’ordine.

Fonte Il Fattoquotidiano

Il “fascino nero” dei casi irrisolti

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32 vittime della Costa Concordia: Oggi sono otto mesi esatti dalla tragedia della Costa Concordia ma all’appello mancano ancora due delle 32 vittime. Il cadavere di Maria Grazia Trecarichi, 50enne di Siracusa assieme ad un altro corpo, non  è ancora stato trovato. Italiani, tedeschi, americani, francesi, la sera del 13 gennaio scorso sono morti nell’urto della nave da crociera sugli scogli de Le Scole davanti all’isola del Giglio, nel cuore dell’Arcipelago toscano. Per il naufragio è stato in carcere e poi agli arresti domiciliari, il comandante Francesco Schettino che solo due settimane fa, dopo la revoca degli arresti, è stato fotografato durante una gita in barca. Su di lui grava ancora una misura disposta dal Tribunale di Grosseto:l’obbligo di dimora. La procura maremmana ha aperto anche un nuovo fascicolo a suo carico per stabilire se abbia violato o meno le misure giudiziarie. Ma la procura dovrà stabilire se le responsabilità sono da imputare solo al comandante o anche ad altri membri dell’equipaggio e della società armatrice.

Roberta Ragusa (Pisa): Mentre la Costa Concordia si piegava su se stessa ed era in corso l’evacuazione della nave, a Pisa scompariva nel nulla una giovane mamma: Roberta Ragusa.  Dal 30 luglio scorso i carabinieri del reparto speciale Tuscania di Livorno,  assieme ai colleghi di Pisa, stanno ancora cercando il cadavere della donna nelle aree impervie delle colline pisane. Perché dopo tanti mesi le ricerche si sono concentrate proprio in quei boschi?  Sono zone che potrebbero essere conosciute da Antonio Logli, il marito della donna, e al momento, unico indagato per omicidio volontario.
Gli inquirenti si sono concentrati su luoghi che Logli potrebbe aver frequentato durante il suo lavoro di elettricista alla Geste, municipalizzata del Comune di San Giuliano.
Alcuni di questi luoghi sono già stati ispezionati dai carabinieri del nucleo investigativo e del reparto crimini violenti anche con l’ausilio delle unità cinofile. Purtroppo durante quei sopralluoghi non fu trovato niente che potesse essere ricondotto a Roberta Ragusa. Da alcuni mesi  due analisti del Reparto crimini violenti sono concentrati sui racconti delle amiche e dei parenti di Roberta per cercare di tracciare un profilo psicologico della vittima e comunque per delineare il contesto a cui apparteneva. Tra le piste investigative: l’omicidio, il suicidio e allontanamento volontario. Ma ad oggi,  la prima e’ quella che  convince di più gli investigatori. Gli indizi a carico di Antonio Logli, però, sono veramente pochi e anche le analisi scientifiche dei Ris non hanno portato elementi significativi all’inchiesta.

Melania Rea e Rossella Goffo: La morte di Melania Rea si intreccia con un nuovo giallo: la morte di Rossella Goffo, la funzionaria della prefettura di Ancona scomparsa il 4 maggio del 2010 e trovata cadavere il 5 gennaio 2011 ad Ascoli Piceno, nel bosco dell’Impero a Colle San Marco. Ad accomunare i due casi il movente passionale, che secondo l’accusa, avrebbe portato anche Salvatore Parolisi ad uccidere la moglie Melania a Ripe di Civitella, prima di simularne la scomparsa a Colle San Marco. Proprio in questo bosco di Colle San Marco, Parolisi in carcere per l’omicidio della moglie e sul quale gravano anche le accuse di presunte molestie sessuali sulle soldatesse, sostiene di aver visto viva, per l’ultima volta, la moglie Melania. Ma solo pochi giorni fa in tribunale a Ascoli Piceno sono state effettuate nuove perizie sulle telefonte che ci sarebbero state tra Rossella Goffo e il suo presunto assassino,  il tecnico della Questura di Ascoli Piceno, Alvaro Binni. Secondo l’accusa sarebbe stato lui ad ammazzare Rossella proprio sul pianoro, seppellendone poi il cadavere sotto pochi centimetri di terra  Dietro l’omicidio di Rosella Goffo, originaria di Rovigo, un marito medico e due figli grandi, ci sarebbe la relazione sentimentale travagliata avuta con il poliziotto, a sua volta sposato e padre. Secondo la procura, Binni voleva troncare a tutti i costi quel legame ma Rossella non voleva saperne: per questo l’uomo l’avrebbe attirata in una trappola, con la promessa di andare a vivere insieme, e uccisa.

Yara Gambirasio(Brembate) :E’ stato identificato un intero paese, un intero Comune, che dire, quasi un’intera provincia ma dell’assassino della dolcissima Yara, ancora niente. La Procura sembra brancolare nel buio  e procedere senza un metodo investigativo ben chiaro.  Più che un giallo perfetto, in questo caso sarebbe da chiedersi se sono “perfetti” o capaci gli inquirenti e i metodi investigativi adottati nell’immediato della tragedia. E se davvero aldilà delle dichiarazioni abbiano davvero fatto tutto quello che hanno detto. “Le indagini sull’omicidio di Yara Gambirasio proseguono senza sosta, anche in vista della scadenza dell’ultima proroga, tra sei mesi”, si affrettano a precisare ancora una volta dalla Procura. In queste settimane  sono i carabinieri del Ros, il Raggruppamento operativo speciale, ad ascoltare alcuni minorenni che abitano nella zona di Brembate Sopra, il paese della provincia di Bergamo dove la tredicenne scomparve il 26 novembre 2010. Il suo corpicino fu ritrovato in un campo di Chignolo d’Isola, a 10 chilometri di distanza, dal luogo dove fu vista viva l’ultima volta.
In particolare gli inquirenti stanno ascoltando alcuni amici della sorella maggiore di Yara, Keba, alla ricerca di “qualche nuovo spunto investigativo” e per verificare alcuni aspetti già vagliati nei mesi immediatamente successivi la scomparsa della ginnasta tredicenne. Un lavoro, quello del Ros, che affianca l’attività dei loro colleghi del Ris di Parma, intenti ormai da un anno e mezzo a prelevare campioni di DNA da confrontare con la traccia ritrovata sul cadavere di Yara e ritenuta “altamente indiziaria” dagli inquirenti. Intanto le anagrafi comunali di una dozzina di paesi della provincia di Bergamo sono finite nuovamente nel mirino degli inquirenti. I comuni hanno ricevuto via e-mail delle specifiche richieste da parte della Squadra mobile della questura: si tratta di paesi compresi tra l’hinterland e la media pianura bergamasca, tra cui Zanica, Verdello, Verdellino, Osio Sotto, Osio Sopra, Treviolo e Levate. La polizia vuole infatti acquisire l’elenco completo di tutti i residenti nati tra il 1930 e il 2000, vale a dire tutti i cittadini di eta’ compresa tra i 12 e gli 82 anni. L’obiettivo? Cercare qualcuno con determinate caratteristiche su cui effettuare verifiche, compresa magari la prova del Dna. Ad oggi, nonostante degli sforzi investigativi che hanno dell’incredibile, l’unico ad essere stato sospettato per la morte di Yara è stato il marocchino Mohamed Fikri.

Donato Bergamini(Cosenza): E’ un altro caso irrisolto e misterioso che è tornato alla ribalta dell’interesse pubblico grazie alla trasmissione “Chi l’ha visto?”  Il 18 novembre 1989, Donato Bergamini, giocatore del Cosenza Calcio viene trovato morto sulla strada statale 106 Jonica nei pressi di Roseto Capo Spulico in provincia di Cosenza. All’epoca gli inquirenti parlarono di suicidio e archiviarono il caso. Infatti, secondo le testimonianze, Bergamini si sarebbe buttato tra le ruote di un camion che l’avrebbe trascinato per circa 60 metri. Il 14 giugno 2011, però, viene richiesta la riapertura dell’inchiesta come omicidio volontario. Il 29 giugno 2011 la procura di Castrovillari riapre ufficialmente le indagini in virtù di nuove prove.
Ed infatti  il 22 febbraio scorso i RIS di Messina hanno depositano presso la Procura della Repubblica di Castrovillari la loro perizia, secondo la quale, Bergamini era già morto quando fu investito. I RIS hanno infatti potuto constatare, attraverso diverse simulazioni, che se il giovane calciatore si fosse “gettato a pesce” sotto il camion, come riferì la fidanzata, le scarpe , gli abiti, la catenina e l’orologio avrebbero subito gravi danni che invece non riportarono Non solo, a distanza 23 anni si parla di feroci mutilazioni sul corpo del giocatore del Cosenza. Secondo i medici  pare che Donato Bergamini, fosse stato evirato e che fosse morto per dissanguamento a seguito di queste ferite. Questo aspetto fu già stato evidenziato in una perizia del ’90 firmata dal professor Francesco Maria Avato ma nessuno ebbe il coraggio di indagare.

Fonte Panorama

Allarme alimentare, Usa, Cina e Russia tremano

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Il gotha delle potenze mondiali così si ritrova seduta attorno a un tavolo per discutere di quello che – almeno fino ad oggi – era stato un tema (e un problema) che riguardava principalmente i Paesi più poveri del mondo e che veniva praticamente snobbato dai Big.

Ma oggi anche i Big rischiano di restare a bocca asciutta e la cosa potrebbe avere conseguenze devastanti, anche e soprattutto sul piano politico.

Il primo a regaire alla tegola alimentare è stato il presidente Usa Barack Obama, che dai campi (secchi) dell’Iowa, dove si trova per il suo tour elettorale, annuncia che la siccità che ha colpito gli Usa è la più grave degli ultimi 50 anni e che il governo federale stanzierà a breve fondi per aiutare gli agricoltori, per un totale di 170 milioni di dollari, almeno per ora.

Ma anche la Cina non è messa meglio, anzi. Pechino negli anni passati ha comprato ettari ed ettari di terra coltivabile in Australia, per riuscire ad avere la quantità di riso e cereali necessaria al fabbisogno nazionale.

Ma quest’anno l’Australia è stata colpita da ingenti alluvioni, che hanno vessato i campi e distrutto la maggior parte dei raccolti. Il risultato è che il prezzo di riso e cereali per la Cina è cresciuto di più del 50%, creando un effetto domino su tutta la filiera alimentare, fino al consumatore finale.

E anche la Russia trema. Già due anni fa la Federazione aveva stanziato 15 milioni di dollari attraverso il Russia Food Price Crisis Rapid Response Trust Fund per le repubbliche del Kirgyzistan e del Tagikistan, ma adesso l’allarme alimentare è arrivato anche a Mosca.

La Commissione europea già nel 2009 aveva stanziato circa 112 milioni di euro per aiutare i comparti agricoli di 10 Paesi membri, e adesso l’allarme è di nuovo in codice rosso, con gli ettari di terra coltivata bruciati in Spagna.

In India il mutamento nella stagione dei monsoni ha spinto addirittura il governo ad investire 75 milioni di dollari in un macchinario che possa prevedere le piogge, e intanto gli agricoltori (che sono circa 600 milioni) spendono rupie su rupie per ingraziarsi le divinità indù e chiedere che la siccità si plachi e che arrivi un po’ di acqua.

E di acqua ce ne è troppa invece sia in Corea del Nord che in Brasile, dove le recenti alluvioni hanno messo in ginocchio l’intero comparto alimentare. Pyongyang ha già chiesto aiuto alle Nazioni Unite, il Brasile invece ha praticamente interrotto la produzione di biocarburanti, per non far aumentare a dismisura i prezzi di mais e cereali.

In Costa d’Avorio sono in allarme i coltivatori di cacao. A causa della siccità i prezzi dei semi sono lievitati del 13%, con conseguenze devastanti su tutto il mercato. Ed essendo il cacao praticamente un monoprodotto agricolo in Costa d’Avorio, l’economia del Paese africano è stata messa in ginocchio.

La Banca Mondiale aumenterà il GFRP (Global Food Crisis Response Program), che già tre anni fa era stato rimpinguato con 2 miliardi di dollari, ma l’emergenza è grande e diffusa su tutto il pianeta. Non bastano interventi mirati, ma sarà necessario ripensare l’intero sistema alimentare e l’accatastamento delle scorte.

Ma non è solo unq questione organico-economica, è anche un serio tema politico. Laddove manca il pane (o costa troppo) è facile che si generino rivolte popolari, soprattutto in paesi “chiusi”, governati da regimi o pseudo-tali.

Il livello di scontro sociale aumenta man mano che aumenta il divario tra la richiesta e l’offerta di generi alimentari. E’ un assioma che finora non è stato ancora smentito dalla Storia. E ormai lo spettro della fame spaventa tutti, nessuno escluso.

Fonte Panorama

Cinque consigli per proteggere il tuo smartphone

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Probabilmente ciò che ho raccontato non succederà mai a uno come te, sei troppo geloso del tuo smartphone. E poi non sei mica il tipo che si lascia inebetire dalle bionde fino a questo punto . Ma visto che la prudenza non è mai troppa ti consiglio di dare un’occhiata e queste cinque pratiche regole per proteggere il tuo smartphone. Mal che vada avrai perso solo 5 minuti del tuo tempo.

Tratta lo smartphone come fosse il tuo portafogli

La prima (e più importante) regola salva-smartphone è così banale da essere spesso sottovalutata. Prima ancora di chiederti quali sono gli strumenti tecnologici che possono essere utilizzati per proteggere il tuo cellulare cerca di comprendere qual è il valore di ciò potresti perdere. Ricordati che hai fra le mani qualcosa di molto più complesso e prezioso del tuo primo cellulare, qualcosa che nel bene e nel male racchiude tutta o buona parte della tua vita (digitale e non): numeri di telefono, indirizzi, messaggi, pagine internet, password, documenti personali, applicazioni che sanno tutto di te…insomma tutta roba che scotta, soprattutto dovesse finire nelle mani sbagliate. Come direbbe Marzullo, fatti una domanda e datti pure una risposta: lasceresti mai il tuo portafogli incustodito sul bancone di un bar o in qualsiasi altro luogo pubblico? Certamente no. Ecco, fai lo stesso per il tuo smartphone.

Inserisci un password robusta se ci riesci

Non l’hai mai fatto, d’accordo, ma forse è il caso di cominciare ad adottare qualche buona abitudine. La prima è quasi scontata: inserisci una password di blocco sul tuo cellulare, robusta se possibile. Il team di Mozilla suggerisce un semplice escamotage per creare una combinazione affidabile e facile da ricordare: pensa a una frase o a una filastrocca che contiene un numero (ad esempio Ambarabà cicci coccò tre civette sul comò), condensalo nelle sue iniziali (Acc3csc) infine aggiungi due caratteri speciali (#Acc3csc!). Per craccare una password di questo tipo – ci dice il sito howsecureismypassword – ci vogliono 809 mila anni. Se non sei in una botte di ferro poco ci manca.

Proteggi le password che utilizzi sul Web

Il browser del tuo telefonino è un’autentica miniera d’oro per i lestofanti del Web. Se puoi evita quindi di effettuare sessioni di navigazione a rischio (accesso a servizi bancari e/o finanziari, transazioni con carta di credito) ma nel caso non potessi proprio farne a meno cerca almeno di utilizzare qualche strumento per la gestione delle password [leggi il nostro approfondimento]. LastPass è, forse, il più celebre ed autorevole fra questi: un servizio gratuito che permette di salvare le password in uno unico spazio bliandato e di ripescarle in modo automatico da qualsiasi dispositivo (smartphone compreso).

Fai attenzione a ciò che carichi sul cloud

Il bello dei cellulari di nuova generazione è che puoi salvare qualsiasi cosa sicuro di poterla ritrovare sul pc o qualsiasi altra supporto digitale. Merito dei servizi cloud come Dropbox, Google Drive, SkyDrive, iCloud, che di fatto sincronizzano tutto il tuo mondo digitale in uno spazio Web accessibile da qualsiasi postazione. Non dimenticarti, però, che in caso di furto o smarrimento dello smartphone, tutto ció che hai archiviato sulle “nuvole” potrebbe finire nella mani di un malintenzionato. Evita perciò di salvare informazioni troppo confidenziali (numeri di carta di credito, combinazioni segrete e via dicendo) e in ogni caso proteggi il tuo account con una password o un codice di sicurezza.

Utilizza il “remote wipe”

Gli strumenti di remote wipe fanno proprio quello che dicono: cancellano i dati salvati sul telefonino riportandolo alle condizioni di fabbrica. Ma non solo. Grazie alle risorse di connettività (come il Gps e il Wi-Fi) permettono anche di rintracciare dove si trova fisicamente lo smartphone e di visualizzare e modificare le impostazioni hardware e software. Se hai un iPhone puoi fare tutto ciò utilizzando l’applicazione Find my iPhone, se invece utilizzi uno smartphone Android puoi ricorrere ad altre applicazioni dedicate, come Mobile Defense, Wave Secure o Prey. Quest’ultimo per dire, permette addirittura identificare il ladro attraverso uno scatto della fotocamera o della webcam effettuato in remoto. 

Fonte Panorama

È arrivato FinFisher, il primo virus governativo

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Il software/virus è anche in grado di bypassare gli antivirus più popolari, comunicare con server remoti e raccogliere dati direttamente dal disco rigido. In pratica è come se un nostro amico entrasse direttamente nel computer e ci fregasse quello che vuole. La questione non sarebbe nemmeno tanto strana se si trattasse di un’azione di hacker, cracker e compagnia bella; invece sembra che di mezzo ci siano governi di tutti e cinque i continenti che lo avrebbero utilizzato per spiare i semplici utenti di internet.

La scoperta è dell’italiano Claudio Guarnieri di Rapid7, azienda statunitense che si occupa di sicurezza sul web. Il team ha trovato diversi server di FinFisher operanti in Australia, Repubblica Ceca, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Estonia, Indonesia, Lettonia, Mongolia, Qatar e Stati Uniti, con un elenco che potrebbe crescere senza freni. Guarnieri ha pubblicato gli indirizzi IP e le “impronte digitali” dei server scovati così da poter controllare le intrusioni nei computer domestici. “Se è possibile identificare queste reti – ha spiegato il ricercatore – molto probabilmente vuol dire che già molte persone sono state spiate in qualche modo”.

Il quadro che emerge dal rapporto di Rapid7 è che le armi informatiche sono in drastico aumento in tutto il mondo. “Una volta che un malware viene lanciato anche su piccole zone, è solo questione di tempo perchè si propaghi senza limiti – afferma il rapporto – anche quelli utilizzati per scovare criminali informatici possono essere adoperati per tanti altri scopi sicuramente meno etici”. In risposta agli interrogativi posti da Guarnieri circa l’adozione di FinFIsher da parte degli organi governativi, la casa produttrice Gamma International ha risposto che “ i server principali di FinFisher (chiamati FinSpy guarda un po’) sono protetti da firewall e quindi difficilmente recuperabili da terzi.

Raggiunti da diversi siti web, i principali governi che risultano nella lista dei server operanti di FinFIsher, hanno risposto all’unanimità di non conoscere il software e ilsuo utilizzo. Alcuni, come il Ministero delle Comunicazioni Indonesiano, affermano che l’adozione di un software del genere è da escludersi perché “vìolerebbe la privacy e i diritti umani del paese”. Sta di fatto che l’utilizzo di FinFisher sembra ben propagato in tutto il mondo, e il fatto che si sia allargato così velocemente è indice di una certa “spinta”. Si ricorda come virus letali come Stuxnet o gli ultimi su Mac, abbiano impiegato mesi se non anni per colpire utenti in diverse zone del pianeta. A tale scopo il team di ricerca ha individuato su una mappa i server di FinFisher operanti nel mondo con la speranza che non si propaghino ulteriormente.

Fonte Panorama

Facebook ti dice chi guarda le foto, tutto sulla nuova funzione

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La funzione “seen by” per le foto è allo stesso tempo utile e semplice. Chi posta un’immagine all’interno della pagina di un gruppo di Facebook potrà sapere quante persone l’hanno vista, i nomi di chi l’ha visualizzata e anche a che ora. Tutte queste informazioni sono visibili non solo a chi ha pubblicato la foto, ma anche a tutti gli altri membri del gruppo. Ben Zhao, professore della U.C. Santa Barbara, è stato uno dei primi a notare la nuova funzione e, uno dei suoi studenti, lo ha comunicato ad alcuni blog specializzati in tecnologia a Web 2.0. Il professore ha comunicato che, all’interno del gruppo creato per la propria figlia, la funzione è comparsa improvvisamente qualche giorno fa’.

Dopo che la notizia è trapelata, un portavoce di Facebook ha confermato l’estensione della funzione “visto da” anche alle foto. Allo stesso tempo però, la casa di Palo Alto ha smentito l’intenzione di portare la feature anche nei profili dei singoli utenti “Non abbiamo annunciato alcun piano di estendere “seen by” ad altri prodotti oltre Groups e Messenger“. Effettivamente, un progetto del genere sarebbe un grandissimo rischio per la privacy degli utenti, che apprezzano sempre di più la possibilità di “spiare” foto e profili altrui in tutto anonimato.

Come ben sappiamo, Facebook continua a testare nuove funzionalità e nuove apps ogni giorno, ma le funzioni per vedere chi guarda le proprie foto o chi visita il proprio profilo non sono tra queste, e probabilmente non lo saranno mai. Sempre riguardo ai nuovi progetti del team di Zuckerberg, sappiamo Facebook è al lavoro su una nuova feature per creare una cartolina a partire dalle foto pubblicate sul proprio profilo. Il pulsante “Mail Postcard“, posizionato sotto ogni foto, permetterà di inviare delle vere cartoline agli amici, ovviamente il servizio non sarà gratuito. Restiamo in attesa di sapere quali saranno le future invenzioni del sito blu.

Fonte Trackback

“Spiati a casa propria”: Cassazione segnala il pericolo al Garante della Privacy

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Stizzita per quegli obiettivi puntati sul portone esterno e su quello dell’ingresso ai piani, la signora Maria – che non si sentiva libera di ricevere visite o di uscire e rientrare per fatti suoi – aveva protestato.

Il Tribunale le aveva dato ragione e aveva ordinato la rimozione dell’impianto. I giudici di Messina non avevano dato per buona la giustificazione dell’ex suocero di essere stato, due anni prima, vittima di minacce e di doversi proteggere.

Invano Salvatore R., pur di tenere sotto controllo l’ex moglie del figlio, aveva fatto presente che dei filmati restava traccia solo per tre giorni e che solo l’autorità giudiziaria avrebbe potuto vederli. Basta con queste riprese, aveva detto il tribunale.

Ma il suocero non si è arreso e ha vinto il ricorso innanzi alla Suprema Corte che ha dato il nulla osta alle riprese. Al Garante si fa notare che le “lacune” di legge escludono dal rispetto delle norme sulla riservatezza “il proprietario unico di un immobile, ancorché concesso in locazione o in comodato”, con la conseguenza che “per fini esclusivamente personali”, il proprietario, può videocontrollare le parti comuni anche senza l’accordo dei terzi che ne usufruiscono.

Fonte Blitzquotidiano

Israele, un “falco” alla Difesa interna Iran: “Guerra più vicina? Non ci crediamo”

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Avi Dichter, membro del partito di opposizione centrista Kadima, darà le dimissioni dal Parlamento per entrare nel governo. Il nuovo responsabile della Difesa interna dipenderà dal ministro della Difesa, Ehud Barak, e sostituirà Matan Vilnai, ambasciatore di Israele in Cina.

A spingere la stampa israeliana a parlare di guerra più vicina sono le parole che Dichter ha pronunciato nei mesi scorsi per dire che Israele dovrebbe dotarsi di “mezzi di attacco militare” contro le installazioni nucleari iraniane. Secondo la radio militare, l’arrivo al governo di

 

Dichter rafforzerà la posizione dei “falchi”, sostenitori di un attacco contro il regime degli Ayatollah. In realtà, secondo alcuni analisti politici, è alquanto improbabile che la maggioranza dei ministri del governo e dei 15 componenti del gabinetto di sicurezza dia il via libera a un attacco frontale di simile portata senza l’appoggio esplicito degli Stati Uniti.

Probabilmente, la stessa convinzione che induce l’Iran a non credere a un attacco israeliano sempre più prossimo. Il ministro della Difesa di Teheran, Ahmad Vahidi, bolla le voci di una reale minaccia militare israeliana come segno di “debolezza e paura”, frutto della “retorica di alcuni leader del regime sionista”. “Non è un segno di potere – aggiunge Vahidi, citato dall’Isna – visto che sanno che non avranno alcuna possibilità contro la potenza iraniana”.

“Non prendiamo sul serio la minaccia” dichiara Ramin Mehmanparast, portavoce del ministero degli Esteri di Teheran. “Abbiamo regolarmente visto dichiarazioni di questo tipo rivelarsi prive di fondamento e crediamo non esista spazio per tale azione – prosegue il diplomatico -. Anche se un responsabile di quel regime illegittimo (Israele, ndr) vorrà agire in questo modo stupido, gli sarà impedito dagli stessi israeliani”

Fonte Repubblica

Germania: scoperte due spie in una settimana nella Nato, erano d’accordo con i russi

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Il primo, Manfred K., è stato accusato di aver rubato “segreti di stato” per conto di terzi: Gli inquirenti hanno spiegato: “Si ritiene che abbia acquisito illegalmente, in qualità di dipendente civile Nato, dati classificati appartenenti al suo datore di lavoro e di averli copiati nel suo computer“. Si tratterebbe di materiale bollato come di “grado A”. Per quanto riguarda il pilota invece si sarebbe innamorato di una giornalista impegnata nella stesura di un libro riguardante la guerra al terrorismo. E’ stato denunciato dal marito della reporter dopo che questo ha trovato il suo nome sulla lista top secret data alla moglie. In totale sarebbero stati 30 i codici segreti sottratti.

Fonte Direttanews

Curiosity fermo da sabato per «rifarsi il cervello». Su Marte anche un chip italiano: arriva da Bari

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Questa se la terrà per tutto il tempo in cui andrà vagabondando per il cratere Gale di oltre 150 chilometri di diametro , è infatti ottimizzata per la guida automatica, il sorpasso di ostacoli e soprattutto la gestione dei 10 strumenti sceintifici e del braccio robotico.

Il computer di bordo, un power pc adattato, Rad750 della BAE systems, non è un granché per la verità almeno a prima vista, funziona a soli 133 Megahertz tanto per dare un parametro che ci riporti alla velocità di esecuzione delle istruzioni. Sono dieci volte meno di quanto può fare un buon smartphone oggi in commercio, quanto a memoria poi solo 4 gigabytes, quando un telefono di ultima generazione ne ha almeno 16 se non 32. E allora cosa è successo, su un progetto da 2.5 miliardi di dollari hanno risparmiato proprio sul PC?
La domanda è lecita, ma i computer che vanno su Marte devono essere molto speciali, dato che hanno da resistere a temperature estreme, anche negative sui 150 gradi sotto lo zero, e soprattutto al bombardamento di raggi cosmici che, entrando nell’elettronica, darebbero luogo a un disturbo micidiale, dato che questa funziona mettendo in moto gli elettroni nei circuiti e i raggi cosmici creerebbero elettroni e segnali spuri.

Come se in una fila ordinata di auto in autostrada improvvisamente calasse a gran velocità un camion TIR, o anche due. In sostanza un iPhone o un telefono Android su Marte funzionerebbero per qualche secondo e poi uscirebbero “pazzi” senza capire più a quale segnale dare ragione fra tutti quelli che attraversano il suo circuito. Quindi aggiornamento lungo e critico, sul computer principale e anche su quello di riserva.
Ma su Curiosity c’è anche un chip molto sofisticato e importante costruito in Italia dalla SITAEL di Bari, una media industri italiana, privata, che con lo spazio ha una certa tradizione e dimestichezza.
ASIC REMS, questo il nome del circuito, nero come di prammatica il colore e delle dimensioni di una moneta da 2 euro, è anche lui in grado in grado di resistere alle radiazioni e temperature estreme del pianeta rosso, e raccoglie i preziosi segnali dei vari sensori meteo per pressione, temperatura , vento, umidità, dandoci un immagine continua dell’atmosfera marziana.

SITAEL è l’unica azienda Italiana a partecipare al Progetto Curiosity selezionata direttamente da NASA e da EADS Astrium grazie alla tecnologia che possiede per costruire ex novo questo circuito estremamente complesso che non solo raccoglie i dati in condizioni critiche e con bassissimo rumore di fondo, ma anche li tratta preliminarmente prima di inviarli al computer, che ora sta facendo il suo upgrade.

«Oltre alla realizzazione del circuito in sé è stato molto difficile trovare anche una colla che permettesse di fissarlo al rover e che potesse sopportare, oltre a tutto il resto, anche temperature di 180 gradi sotto lo zero, richiesta precisa per l’accettazione da parte dei committenti» dice Nicola Zaccheo ceo di SITAEL, industria che come prossimi, immediati, impegni ha una collaborazione con la NASA per il satellite Icesat e con i giapponesi della Jaxa.

I dati che sono arrivati durante il volo verso Marte sono già sotto esame, e sono eccezionalmente importanti per valutare l’impatto delle condizioni dello spazio interplanetario, soprattutto le radiazioni, non solo sulle attrezzature, ma anche per i prossimi voli umani sul Pianeta Rosso, in programma, o forse meglio dire nei desideri, di USA e Cina.

Fonte Il Sole 24 Ore