Per quanto riguarda invece i giganteschi archivi, in parte distrutti e in parte in via di classificazione, soltanto la parte contente materiale utile a diffamare e ricattare cittadini tedeschi che avevano collaborato col regime nazista occupava cinque chilometri di scaffali, tra carte, foto e microfilm. E per quanto riguarda i telefoni sotto controllo in Germania Ovest, nell’anno della caduta del Muro ammontavano a 150mila, mentre in quella dell’Est, essendo pochissimi i cittadini in possesso di un apparecchio privato, lo erano praticamente tutti: il lascito (solo parziale) di questa intensa attività di intercettazione sono oltre 50mila nastri registrati. La Stasi non a caso era nota tra il popolo con l’inquietante appellativo Horch und Guck, «azienda Origlia&Spia«. E Magdalenenstrasse, la via di Berlino sulla quale si affacciava la prigione annessa al quartiere generale della Stasi, era l’indirizzo più temuto dell’intera Repubblica Democratica Tedesca. La testa della piovra dai mille occhi e le mille orecchie che si infiltrava, silenziosamente, ovunque: nella vita e nella coscienza di ogni cittadino.
Partorito dalla paranoia spionistica dell’inquisizione comunista, il mostro nacque nel febbraio del 1950 come Ministerium für Staatssicherheit, «Ministero per la Sicurezza di Stato» della DDR, e fu decapitato il 15 gennaio 1990, quando una folla inferocita invase la centrale della Stasi, non prima però che una grande quantità di materiale venisse distrutta dagli ufficiali in servizio. Il carcere, smantellato soltanto il 4 ottobre 1990, il giorno dopo la riunificazione tedesca, continuerà invece a funzionare per i criminali comuni sotto il nuovo Ministero dell’Interno. Per ironia della sorte uno degli ultimi detenuti sarà Erich Mielke, l’onnipotente ministro del Terrore, il capo della Stasi dal 1955 al 1989. Finito in cella, però, non per i crimini commessi durante gli anni della Grande Paura, ma per l’omicidio di due poliziotti risalente a 58 anni prima, per il quale non era mai stato, ovviamente, processato.
Considerata dagli storici, per struttura, metodi ed efficacia operativa, un caso unico nel panorama delle polizie segrete del ‘900, questa «azienda» specializzata nel settore della repressione, del terrorismo psicologico e dello spionaggio – scrive Gianluca Falanga, collaboratore del Museo della Stasi di Berlino nel suo nuovo e documentatissimo Il ministero della paranoia (Carocci) – «andò oltre la perfetta realizzazione del Grande Fratello orwelliano. Prodotto di quella dottrina cekista, nata in seno al movimento bolscevico, che concepiva la sicurezza dello Stato come controllo permanente e invasivo della società e la cospirazione come necessità storica, la Stasi costituì un’arma perfetta al servizio del regime comunista al potere, del quale fu avanguardia, garante e spina dorsale».
Gli esempi del paranoico regime di controllo attuato dalla Stasi riferiti da Falanga, che ha utilizzato molto materiale inedito, sono innumerevoli, e al limite dell’immaginabile. Incaricato, a partire 1961, di «gestire» anche i confini di Stato e il Muro che divideva Berlino, il Moloch spionistico si distinse, tra gli altri orrori, in una vergognosa «tratta» di detenuti politici, riconsegnati alla Germania Ovest dietro pagamento di preziosa valuta occidentale, secondo un tariffario fissato in base all’età, il sesso e la professione. Sempre più presente e sempre meno visibile, la Stasi investì risorse gigantesche e i cervelli migliori del Paese nelle nuove e sempre più sofisticate tecnologie – cimici, telecamere, microfoni – a disposizione dell’orwelliano «Dipartimento 26» che doveva vedere e sentire tutto, sempre, ovunque. Nella Scuola superiore di giurisprudenza, la «JHS» riservata agli ufficiali, era attivato un corso di Psicologia operativa per insegnare come distruggere negli individui i sentimenti di amicizia, fiducia e amore. La Stasi disponeva, in cambio di piccoli benefici ai proprietari, di migliaia di appartamenti privati, i «covi» della delazione, per incontrare i propri confidenti lontano da sguardi indiscreti. E, tanto si era infiltrata dentro «le vite degli altri», controllava ossessivamente le attività del dopolavoro e sportive. Nelle piccole e nelle grandi cose.
Nel ’74, durante i Mondiali di calcio, spedì un gran numero di funzionari muniti di bandierine a riempire i posti lasciati semivuoti dai tedeschi orientali, disaffezionati alla squadra nazionale. Mentre quando la stella della Dynamo Berlino, Lutz Eigendorf, approfittando di una trasferta, nel ’79 abbandonò la squadra per restare all’Ovest, mise sotto controllo la sua famiglia, fece corteggiare e poi sposare la moglie da un agente speciale. Fino a che, nell’83, due settimane dopo che in un’intervista tv aveva criticato la DDR, il calciatore morì – misteriosamente – in un incidente d’auto. Nel febbraio 2010 un ex spia della Stasi confessò di essere stato incaricato dell’omicidio.
Fonte Il Giornale