Il Pentagono spia l’Africa, e lo fa dall’alto

 

Dal 2007 sono state create almeno una dozzina di base aeree, ma le operazioni sono state intensificate negli ultimi mesi. La “rete” evidenzia come le United States Army Special Forces stiano acquisendo un ruolo crescente nell’amministrazione Obama e lavorando in segreto in tutto il mondo, e non solo nelle zone di guerra.

Le special task, continua il Post, hanno spodestato la (Central Intelligence Agency) in Africa; come questa addestrano gli eserciti locali a monitorare e ad eliminare i sospetti terroristi, ma lo fanno con maggiori effettivi e risorse.

È Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, l’hub chiave dello spionaggio USA in Africa. Nell’ambito di un’operazione di sorveglianza, nome in codice Creek Sand, funzionari e appaltatori USA hanno concordato con le autorità locali la costruzione di una base aerea di modeste dimensioni nel settore militare dell’aeroporto internazionale. Da qui, gli “inoffensivi” aerei spia partono per il Mali, la Mauritania e il alla ricerca dei combattenti di al-Qaida nel Maghreb Islamico (AQMI), specializzati nel sequestro di occidentali a scopo di estorsione.

In Mali la sorveglianza aerea ha assunto una crescente importanza dopo il golpe dello scorso marzo, che ha consentito a estremisti vicini ad al-Qaida di dichiarare uno Stato indipendente islamista nel nord del Paese. Preoccupa anche la situazione in Nigeria per la diffusione di Boko Haram, il gruppo fondamentalista autore di una serie di attentati ai danni dei cristiani; e in , per la resistenza dei miliziani , organizzazione vicina ad al-Qaida.

In Africa centrale, sono circa un centinaio gli uomini delle forze speciali che coordinano la caccia a Joseph Kony, il noto guerrigliero a capo del Lord’s Resistance Army (LRA), che recluta bambini soldato per le sue atrocità. La Corte Penale Internazionale (CPI) ha emesso un mandato di cattura contro Kony.

I risultati finora raggiunti sono coperti da segreto di Stato, scrive ancora il quotidiano. Mentre in Somalia l’Esercito USA ha lanciato una serie di raid aerei mortali, generalmente in altre zone si limita a fornire ai partner africani informazioni di intelligence, affinché questi possano sferrare “da soli” attacchi contro le basi terroristiche.

Queste operazioni di intelligence potrebbero subire una battuta d’arresto. I funzionari del Dipartimento di Stato esprimono riserve in merito alla militarizzazione della politica estera USA in Africa. Sostengono che la stragrande maggioranza delle cellule terroristiche africane persegue obiettivi locali, dunque una scarsa minaccia per gli Stati Uniti.

In Africa centrale, un altro hub si trova in Uganda. Il Pentagono pensa di aprire una base anche in Sud Sudan. In Africa orientale, le basi sono distribuite in Etiopia, , Kenya e nelle Seychelles. Da qui, partono per il Pakistan e lo Yemen i droni Predator e Reaper.

In marzo, davanti al Congresso, il generale Carter F. Ham, a capo del US Africa Command, aveva insistito sulla necessità di espandere le operazioni (Intelligence, Surveillance e Reconnaissance): “Senza installazioni nel continente, la sicurezza degli Stati Uniti potrebbe essere messa in pericolo. Date la vastità dello spazio geografico e la varietà delle minacce, il comando richiede maggiori fondi da destinare alle forze ”.

Fatta eccezione per l’Africa orientale, per il resto del continente non si adoperano droni, ma aerei di piccoli dimensioni, apparentemente turistici o commerciali. Questi, rispetto agli aeromobili a pilotaggio remoto, offrono due grandi vantaggi: sono più economici – un drone costa intorno ai 13 milioni di dollari – e si confondono con i velivoli convenzionali.

La flotta aerea USA in Africa è costituita in maggior parte da monomotore Pilatus PC-12 e aerei cargo di produzione svizzera. Non portano contrassegni o insegne militari; ognuno di questi velivoli riporta la sigla U-28A seguita da un numero. L’Air Force Special Operations Command dispone di almeno 21 U-28A. Finora il comando ha perso un solo U-28A, di ritorno a Camp Lemonnier, in Gibuti. Ancora ignote, al pubblico, le cause dello schianto.

Fonte Atlasweb