Intercettazioni record: spiare gli italiani costa più di 284 milioni

Lo rivela uno studio Eurispes, elaborato su dati della direzione generale di statistica del ministero di Giustizia. Centoottantuno milioni (il dato si ricava dal numero di utenze spiate, 139.051, moltiplicato per una media di 26 «eventi telefonici» al giorno per una media di 50 giorni) di conversazioni spiate, di sms carpiti, di contatti anche innocenti che finiscono nel mare magnum delle inchieste e spesso nel tritacarne mediatico. Che poi, se sei il capo dello Stato e vieni ascoltato mentre parli con un intercettato – vedi quello che è accaduto, con i pm di Palermo, a Giorgio Napolitano con l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino – e allora ti appelli alla Consulta, qualcuno pensa anche di farti un lodo ad hoc (il ministro di Giustizia, Paola Severino però smentisce) e, insomma, scoppia un putiferio. Ma se sei un privato cittadino che fai? Chi ti difende? Sì, dovrebbe farlo la nuova norma che tra veti incrociati non arriva mai, norma che dovrebbe contenere tutele più stringenti per «i terzi» intercettati. Ma aspettando la legge, campa cavallo. E così, non ovunque ma in alcuni uffici giudiziari sì, la pesca a strascico delle conversazioni è il principale strumento investigativo. Ascolta, qui e là, che qualche reato spunterà. Un esempio? Napoli, che con 21.427 bersagli conquista la medaglia – siamo o no in clima olimpico? – di Procura che intercetta di più in Italia. Seguono a distanza (15.467) Milano, Roma (11.396), Reggio Calabria (9.358). Solo quinta un’altra procura caldissima, Palermo, con 8.979 bersagli. Palermo, però, nel 2010 ha speso il 33,7% in meno, Potenza (da dove nel 2009 si è trasferito per andare a Napoli il pm Henry John Woodcock) addirittura il 49% in meno. La menzione speciale di Procura virtuosa va a Torino, che ha ridotto del 4,3% i bersagli tra il 2008 e il 2010 riducendo pure la durata dell’ascolto. Il mezzo di comunicazione più spiato è il telefono (125.150, il 90% del totale), seguono le intercettazioni ambientali (8,4%) e quelle informatiche, appena l’1,6%.

Fonte Il Giornale