Ed ha, pure, una sua “ricaduta” sugli apparati di intelligence degli Stati. Le chiedo quale sono le nuove sfide per i Servizi d’intelligence, in generale, e in particolare per quelli Italiani?
Il primo dato è sicuramente la crisi finanziaria, che finora è stata trattata essenzialmente dal punto di vista finanziario e si è dimenticato che c’è una ricaduta in termini di sicurezza nazionale. La crisi e la guerra economica, che si gioca attorno alla crisi, è sicuramente la prima sfida che si gioca e a cui occorre far fronte. Noi siamo uno dei paesi più esposti in questo senso.
Nella loro storia i servizi italiani, in certi periodi, sono stati succubi della grande potenza americana. Oggi com’è la situazione?
Del tutto succubi non sono stati mai, nel senso che i servizi italiani hanno sempre avuto delle anime dentro: c’è un’anima filo-israeliana e c’era un’anima filo-araba più omogenea agli interessi petroliferi del paese. Ora il problema si pone in termini di forte sbandamento dei servizi, che hanno perso molti punti di riferimento. Il mondo globalizzato, la crisi del sistema politico, il fatto che l’ENI non si capisce che fine debba fare, ed era un punto di riferimento dei servizi italiani. Il tutto va riportato ad una dimensione di forte incertezza.
Nella guerra in Iraq i servizi di sicurezza italiani avevano dato prova di una certa efficienza. Alcuni episodi recenti, invece, hanno messo a nudo carenze nella rete informativa dei servizi. Quali sono i limiti strutturali dei nostri servizi?
I nostri servizi storicamente sono abili nella raccolta informativa, sono medi nella diplomazia e nella capacità di intrattenere rapporti, sono carenti dal punto di vista dell’analisi che è da sempre il punto debole dei servizi italiani.
Dove si colloca, invece, la loro eccellenza?
Soprattutto, come già detto, nella raccolta informativa, che è sempre stato il punto di forza, in qualche modo la scuola dell’OVRA è servita, quindi c’è un’antica abilità nella raccolta informativa, nell’organizzazione delle reti dei confidenti. Mentre invece, per esempio, nell’analisi delle fonti aperte i servizi italiani sono abbastanza indietro, è un’impressione esterna anche sulla base di quello che si legge nei giornali: è un problema di tradizioni per certi versi e di mancato aggiornamento per altri.
A livello europeo tra servizi inglesi, tedeschi, francesi come siamo collocati in fatto di uomini e risorse (finanziarie e tecnologiche)?
Non siamo messi bene, perché da sempre i servizi italiani hanno dei finanziamenti non eccessivi. Come uomini credo che gli altri abbiano una disposizione, una rete più consistente, però credo che dal punto di vista dell’addestramento e dell’efficacia complessiva i nostri servizi non sono messi poi tanto male. Quello che i nostri servizi hanno come mezzi lo fanno fruttare di più. Se si vede la storia dei nostri servizi, per quel che riguarda la resa e i risultati, lo stacco non è così vistoso.
Per uno stratega dove si colloca l’importanza, cioè il valore aggiunto, dei servizi italiani?
Come servizi di una media potenza di area, come nel Mediterraneo, i nostri servizi se la sono cavata bene. E infatti quello che lei dice dell’Iraq, e precedentemente le missioni in Libano, dimostrano una capacità di penetrazione del mondo arabo, mediorientale non trascurabile, che presuppone anche una certa abilità.
L’ultima riforma è del 2007. Come sta procedendo?
Non sta procedendo, non c’è mai stata alcuna riforma, perché nel 2007 c’è stata una finta riforma, che serviva un po’ a riallineare i rapporti dei poteri interni dei servizi, poi serviva a risolvere i problemi processuali di Pollari e serviva a creare una sorta di alibi preventivo attraverso la discriminante per cui il Presidente del Consiglio può incredibilmente autorizzare a fare reati. Ma per il resto una vera e propria riforma non c’è stata mai. I problemi da affrontare sono, da un lato, quello dei controlli sui servizi e dall’altro della specializzazione degli stessi, su questo siamo carenti. Ma bisogna soprattutto riprendere il discorso sul modello binario, sul coordinamento, ora l’ex CESIS è un ente abbastanza inutile perché i servizi se ne vanno per i fatti propri, quindi nel complesso è ancora tutto il modello che va ripensato. Come va ripensato il modello di selezione, di reclutamento, il modello di potenziamento dei settori critici, come l’analisi e la opensource intelligence.
Fonte RaiNews24